Comunicare le proprie convinzioni

Tratto e leggermente rielaborato da un articolo di Ángel Rodríguez Luño


 

Confrontarsi con le idee senza per questo combattere le persone
La cultura ha una caratteristica peculiare: in essa le idee, con tutte le loro conseguenze, hanno una consistenza ed uno sviluppo abbastanza autonomi rispetto alle menti che le hanno prodotte; le idee si sviluppano con una forza che dipende solo da esse stesse, dalla loro consistenza oggettiva e dal loro dinamismo intrinseco, indipendenti dall’intenzione delle persone che le hanno messe in circolazione. Per questo è necessario stare attenti alla relazione tra comunicazione delle idee e cultura; quando si aspira ad intervenire positivamente nella creazione e nella trasmissione di modi di vita e di visioni dell’uomo, è necessario preoccuparsi della consistenza e del prevedibile sviluppo delle idee più che alla presunta intenzione delle persone.
Un atteggiamento polemico, una risposta "brillante" o ironica possono mettere a tacere un avversario, ma se non abbiamo approfondito ciò che diceva e non si è apprezzata la consistenza delle sue idee e le possibili linee di sviluppo delle stesse, probabilmente non abbiamo offerto un’alternativa culturale adeguata e non abbiamo collaborato alla crescita della cultura. Le idee che si sono rifiutate, riducendo al silenzio colui che le aveva promosse, continueranno ad avere lunga vita. Solo se si fornisce una proposta che conservi e superi ciò che di buono e vero c’è nelle idee che si ritiene giusto controbattere, si ottiene un influsso culturale reale.


Verità, relativismo e libertà
Di fronte alle posizioni relativiste si ha spesso la tentazione di rispondere mostrando la loro contraddizione interna: chi considera che tutta la verità è relativa fa in realtà un’affermazione assoluta, e per questo si contraddice. Si tratta di una critica vera, ma culturalmente poco efficace, perché non cerca di comprendere i punti di forza che sostengono i ragionamenti dei relativisti, né le questioni che cercano di risolvere.
In una prospettiva etico-sociale, le posizioni relativiste hanno il loro punto di partenza nel fatto che nella società attuale esiste una pluralità di progetti di vita e di concezioni del bene che sembrano porre un’alternativa: o si accetta un modo di vita tollerante che richiede di ammettere che qualsiasi concezione di vita vale quanto un’altra o almeno ha lo stesso diritto ad esistere di un’altra, oppure si cade nel fondamentalismo etico e sociale.
Il ragionamento è ingannevole, ma si presenta apparentemente vero a causa di un fatto innegabile, che costituisce il suo punto di forza: nel corso della storia, ed anche nell’attualità, non sono mancati coloro che hanno oppresso violentemente la libertà delle persone e dei popoli in nome della verità. Por questo, per difendere la possibilità di conoscere e possedere la verità, è necessario evitare qualsiasi parola, ragionamento o atteggiamento che possa far pensare che si debba sacrificare la libertà in nome della coerenza con la verità. Se si desse questa impressione, anche involontariamente, si contribuirebbe a consolidare il presupposto fondamentale del relativismo: l’idea che l’amore per la verità e l’amore per la libertà sono incompatibili, almeno nella pratica.
La comunicazione delle convinzioni cristiane e dei loro valori morali ha bisogno di mostrare con i fatti e non solo con le parole, che tra verità e libertà esiste vera armonia; questo significa, da una parte, essere profondamente convinti del valore e del significato della libertà personale, e dall’altra, distinguere con cura l’ambito etico dall’ambito politico e giuridico. In ambito etico, ogni richiamo dell’autorità fa appello alla libertà della persona, mentre in ambito politico e giuridico può essere legittima la costrizione.


Distinzione tra etica e politica
Nelle questioni etiche la coscienza di ogni persona si deve aprire alla verità che ha perciò un evidente potere normativo sulle sue decisioni; la coscienza personale è in relazione con la propria concezione del bene e spesso quindi anche con i principi religiosi; inoltre, l’ambito giuridico e politico si riferisce alle relazioni tra individui o tra individui e istituzioni, che, in quanto regolamentate dalla legge, sono soggette al potere coercitivo legittimamente utilizzato da parte dello Stato e dei suoi rappresentanti.
Questi due ambiti etico e politico sono strettamente correlati, e spesso hanno uno sviluppo parallelo. L'omicidio, per esempio, è una grave colpa morale ed è anche un reato che lo Stato ha il dovere di perseguire e punire. Ma anche in questo caso, i due ambiti hanno differenze significative. Si consideri, ad esempio, il perdono. Una cosa è il perdono della colpa morale e un’altra il condono del reato: è auspicabile che i parenti della vittima di un omicidio, come cristiani, perdonino i colpevoli, ma non sarebbe accettabile che lo Stato persegua una politica di impunità dell’omicidio. Affermare il contrario sarebbe un abuso o una grave offesa ideologica al bene comune.
Tali differenze rendono necessaria la distinzione tra il piano etico e quello politico per ciò che si riferisce all’applicazione dei principi morali del Vangelo. Per evitare errori di interpretazione, si deve offrire un fondamento etico alle affermazioni di carattere morale, spiegando che tali verità non vengono imposte attraverso l'uso di misure coercitive del potere politico; questo è compatibile con il fatto che in alcuni casi esista invece una dimensione etico-politica o etico-giuridica. In questi casi, si devono allora fornire ulteriori e specifiche motivazioni politiche o giuridiche oltre a quelle morali; vale a dire: si deve dimostrare non solo che il comportamento in questione è moralmente sbagliato, ma anche che vi siano specifiche ragioni per le quali lo Stato dovrebbe vietarlo e punirlo. Ragioni che non sono identiche ai motivi etici, perché non è di competenza dello Stato perseguire una colpa morale, ma promuovere e salvaguardare il bene comune, prevenendo e castigando quelle condotte che lo danneggiano (che danneggiano la sicurezza pubblica, la libertà e i diritti altrui, le istituzioni sociali come la famiglia, ecc…).
Ad esempio, lo stesso omicidio non è punito dallo Stato in quanto colpa morale, ma in quanto palesemente contrario al bene comune dei cittadini.


Influenza dell’etica sulla politica
A volte lo Stato può emanare leggi ingiuste. In tali casi, il cittadino di retta coscienza dovrebbe poterle criticare liberamente. In questi casi, è importante saper dare alla legge sbagliata una risposta culturalmente efficace. Non è un compito facile, perché c’è bisogno di superare le contrapposizioni polemiche, sapendo assumere la parte di verità della posizione contraria. Quando in coscienza si deve criticare un intervento dello Stato, si deve anche mostrare una chiara sensibilità nei confronti dei valori delle istituzioni democratiche, sensibilità che non deve essere offuscata dal fatto, certamente molto doloroso, che in un'azione concreta una certa istituzione abbia agito ingiustamente.
La fermezza nei principi etici deve essere - e sembrare - compatibile con la consapevolezza che la realizzazione del bene comune, personale e sociale, in un determinato contesto storico, geografico e culturale, è caratterizzata da una contingenza praticamente insormontabile. Nelle questioni temporali spesso non vi è un'unica soluzione. Anche le decisioni della Chiesa riguardanti questioni temporali spesso sono contingenti, proprio perché si riferiscono ad una realtà che dipende molto dalle circostanze, che cambiano nel tempo; quindi bisogna imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi di fondo sono irrinunciabili e durevoli.


L'autonomia delle realtà temporali
Può succedere che la dottrina cristiana relativa ad un particolare ambito etico-sociale coincida con la posizione sostenuta da tutti o dalla maggioranza dei cittadini militanti legittimamente in un determinato partito politico. In questi casi, si viene a creare involontariamente una situazione delicata, perché potrebbe sembrare che i cristiani o la Chiesa, nel proporre i suoi insegnamenti, stiano non solo presentando il messaggio evangelico, ma anche sostenendo un particolare partito politico.
Questa confusione può provocare accuse di intromissione o di mancanza di autonomia per lo Stato; accuse che talvolta possono essere solo un pretesto politico, o anche nascondere cattive intenzioni, ma si deve tenerle presenti e si deve confutare quello che può dare un’apparenza di verità a queste rimostranze. A questo proposito sono opportune due considerazioni.
La prima è che tutti i cittadini, compresi quelli che fanno parte di un organo legislativo o di un partito politico, hanno il diritto e il dovere di sostenere le soluzioni che in coscienza ritengono utili per il bene del paese, spiegando - se è possibile - i motivi che giustificano questa loro convinzione. Ciascuno è libero di consultare i libri specialistici che ritiene affidabili, o parlare con chi vuole; quindi, se un cittadino può prendere ispirazione da una certa teoria politica od economica, può anche farlo dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Le soluzioni politiche si misurano dal loro valore intrinseco e dalle relative motivazioni razionali. Mettere in discussione le fonti utilizzate da ciascun cittadino per formare le proprie convinzioni sarebbe una mancanza di rispetto per l'autonomia della loro coscienza. È facile vedere che la radicalizzazione di un tale atteggiamento porterebbe a situazioni assurde: per esempio, affermare che lo Stato, per sottolineare la sua aconfessionalità dovrebbe promuovere ciò che la Chiesa condanna come, ad esempio, la schiavitù.
La seconda considerazione è la necessità di avere le idee molto chiare sulla distinzione tra la missione dello Stato e quella della Chiesa. A questo proposito Benedetto XVI ha affermato che la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che appartiene a Dio, con la conseguente autonomia delle realtà temporali, appartiene alla struttura fondamentale del cristianesimo.
“La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all'interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l'altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile.
In questo punto politica e fede si toccano. […] È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato.
La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano. E sa che non è compito della Chiesa far essa stessa valere politicamente questa dottrina: essa vuole servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili.
La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente.” (Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est , 25-XII-2005, n. 28)
La realizzazione della giustizia è un punto in cui la fede e la politica si incontrano. Ecco perché si richiede particolare attenzione perché nessuno con buona volontà possa pensare che la fede cristiana si identifichi con un particolare partito politico. Certo, la fede cristiana ha qualcosa da dire alle varie culture politiche degli uomini e dei popoli, ma la fede richiede la libertà e si offre alla libertà, che quindi deve essere amata con le parole e con i fatti.